IRENE BRIN, la moda, l’arte e il cinema

Quando negli anni Sessanta in America e in tutto il mondo incalza la rivoluzione Pop, Irene Brin non si dimostra pronta ad accogliere le novità americane della nuova civiltà di massa; rifiutando la democratica ma omologata produzione in serie, rievoca nostalgicamente i laboratori creativi degli stilisti europei. La sua non è soltanto una polemica contro le nuove regole del mercato, ma un’acuta riflessione sociale sulla perdita della creatività del Made Italy in favore della più “rassicurante” strategia di massa, che illude l’individuo di non essere più solo in una società in cui non c’è più distinzione nell’abbigliamento. Lo stesso atteggiamento lo assume insieme a Gaspero Del Corso nella gestione della Galleria L’Obelisco non esponendo opere Pop ma deviando verso il filone dell’arte cinevisuale.

                         


Le due fotografie messe a confronto, testimoniano questa condivisione di intenti. Nella fotografia di destra abbiamo un cappotto di Roberto Capucci, famoso stilista degli anni Sessanta e Settanta, che rientra nella "Linea Optical" ed è caratterizzato da una fantasia a scacchiera che crea un effetto prospettico e di movimento grazie agli intrecci delle linee e dei quadrati neri sullo sfondo bianco.
A sinistra, invece,la riproduzione di un’opera di Franco Grignani, artista di spicco della Galleria L’Obelisco, per sottolineare come all’epoca la moda e l’arte – nel caso più specifico la visione della moda della Brin e la linea artistica della Galleria L’Obelisco – sono fortemente collegate sia per tematiche che per suggestioni.

Claudia Palma